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Intervista a Gianni Degli Antoni
di Carlo Infante
L'intervista a Gianni Degli Antoni - Tecnologie dell'Informazione dell'Università
di Milano a Crema - presenta interessanti elementi di riflessione sul
tema "Prove di cittadinanza futura: reti civiche, biblioteche e scuole"
Carlo Infante: "All'interno della Società dell'Informazione
è sempre più importante essere dinamici, cosa significa questo? Questa
è la prima domanda. La seconda domanda si aggancia alla prima, ne è proprio
uno sviluppo: è forse proprio necessario trovare il modo di tradurre l'interattività
che conosciamo, che viene resa evidente dalle nuove tecnologie della comunicazione,
all'interno del nuovo scambio sociale? Non solo consumare, ma produrre
informazione. Il valore aggiunto della società del futuro sta nel tirar
fuori ricchezza dall'interscambio delle informazioni. La terza è una domanda
sulla quale abbiamo già discusso più di una volta: come vedi un rapporto
possibile, virtuoso, tra il mercato dell'Information Technology e la società
dell'Information Technology? Che tipo di dialogo prevedi? Quando parliamo
di cittadinanza digitale, cosa può significare? Intravedi delle forme,
dei modelli possibili? Ti ripropongo, dettagliandola, la prima domanda.
Rifkin parla di un passaggio dall'homo faber all'homo ludens. Questo tipo
di ludicità, di approccio giocoso, dinamico con le informazioni può essere
una delle soluzioni da proporre all'interno di una nuova forma di cittadinanza?
Ovvero essere capaci di saper usare in modo dinamico le informazioni in
movimento?"
Gianni Degli Antoni: "E' chiaro che il mondo si sta un po'
complicando, però l'uomo è rimasto lo stesso. Non si capisce bene perché
i bambini acquisiscano ad una velocità così alta le tecnologie dell'informazione,
ma è certo che la velocità della comunicazione da che mondo è mondo continua
ad aumentare esponenzialmente. L'uomo ce l'ha sempre fatta; ce la farà
ancora. Oggi è evidente, però, che ci sono alcune scollature, ad esempio
la scollatura tra l'astrazione e la concretezza: i politici usano un linguaggio
molto astratto, la gente difficilmente sa riferire al proprio caso particolare
il linguaggio astratto. Il linguaggio cinematografico è spesso astratto,
anche se l'astrazione è fatta con immagini, e il rapporto con la concretezza
dell'esperienza dell'individuo è scarso. La scuola parla in termini astratti.
Anche la matematica è astratta. La letteratura, idem, la filosofia, idem.
Quindi io credo che ci sia una crisi del rapporto tra astrazione ed esempio.
L'astrazione è una classe di esempi, però in forma compatta. Cominciamo
a dire che digitale è la comunicazione orale e anche la comunicazione
scritta: parte da segni molto precisi, usa suoni, che sono una forma di
codificazione rigorosamente digitale (0/1 è solo un banale esempio di
comunicazione digitale). La comunicazione digitale è quella verbale, scritta
o anche gestuale. La comunicazione digitale ha a che fare con la capacità
dell'uomo di costruire situazioni discrete e di cambiamenti discreti:
"Passami la matita". Il rapporto tra il linguaggio astratto e gli atti
concreti si può acquisire certamente molto bene con la ginnastica, perché
si ha consapevolezza del rapporto tra il corpo e le parole; certamente
molto bene con i giochi, i giochi animati, ma non solamente con i giochi
davanti al video: il video ed il computer devono essere un elemento di
una "multimedialità", dove multimedialità corrisponde anche alla presenza
del corpo dell'uomo. Adesso si cominciano a fare prodotti tecnologici
che coinvolgono il corpo: le ciclette in cui si vede il paesaggio in cui
si pedala, oggetti per vivere un'esperienza di Realtà Virtuale. La comunicazione
digitale su quegli oggetti corrisponde alla comunicazione digitale dell'uomo
che acquisisce consapevolezza delle astrazioni, ma le riferisce sempre
alla propria esperienza. La comunicazione è sempre comunicazione di esperienza:
magari di esperienza sognata, esperienza pensata, ma è sempre esperienza.
Quando qualcuno comunica come si risolve un problema od un altro, comunica
per astrazioni. La società ha il problema di far capire meglio e di non
separare l'astrazione dall'esempio. Prendiamo ad esempio i "mestieri":
i mestieri hanno senso purché nello stesso mestiere sia compresa l'astrazione
e l'esempio, in modo che uno non solo sa riparare i rubinetti dell'acqua,
ma sa anche dire come fa. Se sa dire come fa, la differenza tra uno scienziato
e un idraulico diventa nulla: tuttalpiù diventa di livelli di approfondimento,
ma i livelli di approfondimento sono tantissimi anche nel mestiere dell'idraulico.
Se vogliamo valorizzare l'uomo non dobbiamo pensare all'homo ludens: io
non sono d'accordo. Sono d'accordo che giocare, soprattutto con la partecipazione
del corpo, è una situazione vitale per capire il rapporto tra le parole,
le astrazioni, le figure. Oggi l'uomo vuole controllare le emozioni. Dà
meno fede alla razionalità, ed in una certa misura questo è giustificato
da un relativo insuccesso del mondo scientifico sulla razionalità: mettete
tre scienziati a discutere su un problema e vedrete che ci sono tre opinioni
diverse, questo in una certa misura è un fallimento. Io credo che sia
giusto che si discuta, quindi non sono favorevole alla non discussione:
è giusto che ci siano opinioni diverse, ma che poi si arrivi a maggioranza
alla soluzione dei problemi è necessario. Quando si dichiara che non c'è
competenza, si possono togliere gli scienziati di mezzo per far partecipare
la gente comune, con un voto, a questioni dove evidentemente non arriva
il pensiero scientifico. Oggi io credo che abbiamo tutti questi problemi,
ma abbiamo in più la libertà della persona. Siamo in una fase di indubbio
cambiamento, nella quale è importante guardare quali sono i problemi reali.
Tra i problemi reali figura la povertà nel mondo, e questo è importante
perché bene o male se questa povertà aumenta cadremo in difficoltà. Oggi
gli uomini devono fare lo sforzo di riconoscersi parte; e se sono intellettuali
devono avere il coraggio di riconoscere le analogie, le corrispondenze
tra le parti; quindi, in tutto il gioco della cultura, non c'è dubbio
che il problema centrale è la comunicazione, e la comunicazione riguarda
certamente il rapporto tra l'esperienza tout court, anche quella emozionale,
- l'esperienza di come si va a caccia di conigli, l'esperienza di come
si fa a crescere una talea, l'esperienza di cos'è la biotecnologia - e
il modo di comunicare l'esperienza in termini astratti."
Carlo Infante: "Oppure anche l'esperienza di come si va a
caccia d'informazione."
Gianni Degli Antoni: "Anche l'esperienza di come si va a caccia
d'informazione. Però qui non dobbiamo dimenticare una cosa: le tecnologie
dell'informazione ci sono, ed evolvono nel modo più biologico che si possa
pensare. Sarebbe ormai ora di concepire una "biologia della tecnologia":
ad esempio i computer si moltiplicano, nascono nuovi computer, sono figli
dei computer precedenti, ma nascono moltiplicandosi, e nella replicazione
- come fa la biologia - mutano, sono diversi, più veloci, hanno aggiunte,
gli manca qualcosa, si integrano: cose che erano prima diverse hanno poi
qualcosa in comune; però questi vivono una loro vita in simbiosi con l'uomo.
Sono "oggetti artificiali viventi": questo dobbiamo cominciare a capire.
I computer non sono molto lontani dalla possibilità di replicare se stessi
e di re-inventarsi. Quindi a questo punto il problema della responsabilità
dell'uomo è importante. Ci sono solo due modi: o facciamo dei grandi sistemi
ipercentralizzati, cosicché l'automazione aumenterà, il costo dei prodotti
singoli decrementerà, però è chiaro che chi ha in mano il controllo dei
grossi processi drena denaro dappertutto, lo fa per sé, e decide il resto,
dovrà inevitabilmente distribuire lo stipendio per mettere le persone
in grado di poter comprare gli articoli che produce, così si forma una
sorta di "alienazione" del rapporto tra uomo e tecnologia, e nel frattempo,
siccome gli interessi dominano e la loro valutazione e le strategie per
il loro miglioramento sono computerizzate, basta andare avanti al massimo
venti anni e i computer decideranno cosa fare. E' una strada giusta? La
strada pauperista è sicuramente perdente. L'unica strada possibile è quella
della maggior responsabilità delle persone, del far sì che le persone
capiscano: quindi più cultura dappertutto, più contatto tra lavoro, esperienza
e esperienza personale, anche e soprattutto - lo ripeto - esperienza del
corpo; contrapposta alla sopravvalutazione del lavoro intellettuale. Il
lavoro del muratore va valutato alla stessa stregua del lavoro dello scienziato.
Tu sei un uomo di comunicazione, ma anche un muratore che fa un bel pilastro
in una bella strada ha un valore di comunicazione più alto del tuo che
scrivi articoli."
Carlo Infante: "E' su questo che si innesta il concetto, nuovo,
emergente, di cittadinanza digitale, ovvero il fatto di poter entrare
in forte relazione con le risorse informative e tecnologiche?"
Gianni Degli Antoni: "Sì, perché succede questo: è inutile
che tutti facciamo le stesse cose, dobbiamo capire che il mondo è uguale
da qualunque parte lo si giri. Il biologo, il fisico, il matematico, il
chimico, l'informatico, il sociologo, il politico, quando fanno il loro
lavoro di scienziati, osservano delle cose; queste cose sono sistemi.
I sistemi si moltiplicano, evolvono, mutano e si incrociano: è processo
evolutivo. E' presente dappertutto: nelle idee, nelle ideologie, nella
biologia, nella chimica, nella fisica, nella matematica… è dappertutto.
Quando uno ha accettato questo, ed è capace di accettarlo come cultura
generale - e questo lo possono capire tutti - avrà strada facile nell'interpretare
l'oggi come il domani."
Carlo Infante: "Certo, ma su questo il mercato delle tecnologie
della comunicazione e la società in trasformazione che si interroga sul
"valore d'uso" delle risorse tecnologiche e informative, ha bisogno di
risposte: quali strategie si possono mettere in atto? Riesci ad individuarne
una formula, un modello?"
Gianni Degli Antoni: "Diciamo questo: oggi l'evoluzione complessiva
da che cosa è determinata: dalle grandi idee o dai piccoli fatti ripetuti?
E che rapporto c'è tra i piccoli fatti ripetuti e le grandi idee? Mi spiego:
prendiamo il caso di Internet. Che cos'è Internet? E' l'applicazione ripetuta
da macchine della possibilità di comunicare da parte degli uomini. Ed
è ripetuta perché c'è un algoritmo di instradamento - diciamo i routers
- che permette di far sopravvivere i messaggi. Li si può far sopravvivere
rispetto ad un bombardamento nucleare, rispetto ad altre cose. Ma questa
tecnica ha insegnato a segmentare tutto, non solo i messaggi: le imprese.
Tutto si sta microminiaturizzando. Microminiaturizzando sì, però in modo
da sopravvivere. Risultato: il conflitto tra la macrostruttura e la microstruttura
si fa sempre più tangibile. E la microstruttura che cos'è? E' il "servizio".
Che cos'è il servizio nella nuova concezione di domani? E' quello che
tutti dobbiamo predisporci a dare in funzione delle nostre capacità. Il
servizio è la capacità di far sì che ciò che io so, ciò che ho sviluppato
sia a disposizione liberamente degli altri a pagamento. Io devo diventare
un gelataio. Il gelataio è la struttura pubblica più bella che ci sia:
andate lì con 1.000 lire, gelato da 1.000 lire; 2.000 lire, gelato da
2.000 lire. Ma per quale ragione non dovremmo vendere il teorema da 3.000
lire, il teorema da 50.000 lire… Perché chi studia filosofia non dovrebbe
fare servizio della propria cultura e non dovrebbe renderla seriamente
accessibile? Stanno arrivando sistemi di comunicazione capaci di leggere
5.000 documenti ed estrarre il senso di 5.000 documenti. Quindi quello
che era il limite di oggi: ovvero l'effetto S. Antonio, l'eccesso di documentazione
sta per cedere il passo ad una capacità computerizzata di leggere documenti.
Questo richiede che l'uomo sia dotato di buon senso. Il buon senso è il
nostro futuro."
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