Scuola
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La scuola in tempo di guerra
Durante le lezioni si parlava sempre di Mussolini in modo che i ragazzi di quell’epoca diventassero fascisti convinti; anche l’ora di ginnastica serviva a raggiungere lo stesso scopo. Non ci sembra affatto giusto, perché ognuno deve essere libero di pensare e credere a quello che vuole. All’epoca, i bambini dovevano cercare di non sprecare nulla, mentre noi, consumiamo e buttiamo molte cose anche parzialmente utilizzate. Riguardo gli insegnanti, erano soprattutto maschi, abbastanza severi, fino all’uso delle punizioni corporali; invece i maestri di oggi sono per la maggior parte donne e meno severe; questo vuol dire che c’è stato un grande cambiamento nel modo di educare i bambini. Nel ’45 la scuola finiva in quinta elementare mentre oggi l’obbligo scolastico è fino alla terza media, di conseguenza la popolazione di allora era più ignorante di quella di oggi, forse per quel motivo si è giunti alla dittatura in Italia.
...Si faceva solo fino alla quinta elementare; le medie c’erano, ma solo per qualcuno perché allora non potevano permetterselo tutti e andavano fino alla quinta.
Foto ricordo con alunni in divisa |
L’edificio era una piccola stanza ricavata da un locale che da una parte era una specie di osteria, dall’ altra c’era una stanza per la prima e la seconda elementare, poi invece per la terza fino alla quinta elementare c’erano le scuole pubbliche. Però non erano riscaldate, perché allora si partiva d’inverno con uno scaldino, che era una specie di ciotola di terracotta col manico, la si riempiva di braci e uno se la portava dietro per scaldarsi e per scaldare l’aula. |
C’erano
i banchi come li avete voi, certo non belli come i vostri, fatti di legno
scheggiati, con il calamaio e l’inchiostro, dove intingere quei pennini
sempre spuntati. I
bambini, come tutti, anche allora andavano col temperino a rovinarli e quindi
erano tutti un po’ scheggiati e ogni tanto prendevi una scheggia in mezzo
alle dita.
A
volte si facevano anche due classi messe assieme, si arrivava a una trentina
di alunni, più o meno, era una classe mista.
La bacchetta della maestra Quando
la maestra parlava, dovevo mettermi sull’attenti e non ribattere parola
e tante volte se stavi bravo non succedeva niente, però se insistevi
avevano una bacchetta lunga e ogni tanto, tac! Un’altra cosa ti devo dire: quando noi uscivamo dalla quinta elementare eravamo pronti per andare a lavorare, le maestre ci avevano dato un’infarinatura un po’ di tutto, hai capito? Gli orari scolastici erano più o meno come adesso: dalle otto e mezzo del mattino fino a mezzogiorno e mezza. Poi dipendeva dai periodi perché a volte bisognava uscire anche prima per vari motivi. Il sabato bisognava andare a fare ginnastica, tutti vestiti in divisa. |
Copertina di un testo di lettura |
Come è cambiato il materiale scolastico!
C’era una penna col pennino spuntato e una matita, qualche volta la gomma e quei colori di legno, della Giotto. Le nonne comperavano un pacchetto all’inizio dell’anno scolastico che doveva durare fino alla fine, non potevi permetterti durante l’anno di comperare altri colori, hai capito?
Io vorrei dire una cosa, ora voi scrivete, strappate, buttate, noi il quaderno lo usavamo in due maniere, da una parte e dall’altra per risparmiare la carta. Da una parte si faceva una materia e dall’altra se ne faceva un’altra.
C’è stato un periodo che il quaderno era fatto con una carta che faceva passare dall’altra parte l’inchiostro, scrivevi da una parte e poi macchiavi tutto dall’altra parte.
L’inchiostro
nel calamaio non finiva mai, quando finiva c’era il bidello che ne aggiungeva
di nuovo. Tutte le mattine il bidello prima di iniziare le lezioni metteva
l’inchiostro nei vari calamai.
C’era anche l’asciuga pennino
per asciugare il pennino che non gocciolasse.
Sì, c’era la carta
assorbente.
Non esisteva
intervallo, niente da fare! Intervallo
non ce n’era.
Sì che c’era, durante l’intervallo mangiavi
il panino, quello che c’era, e
lei si vede che era fortunato!
Un quarto d’ora d’intervallo c’è sempre stato.
Era già uno dei fortunati,
io intervallo non ne ho mai avuto.
Sì, ma questo solo tra la quarta e la quinta.
Ricordi scolastici di 60 anni fa |
Vi ho portato un pezzo di carta assorbente che si usava per asciugare l’inchiostro quando si scriveva, per non macchiare il quaderno, girata la pagina. Si usava questo pezzo di carta che è assorbente, si asciugava l’inchiostro, si girava la pagina. Anche questa, se vedete, è abbastanza usata, non si buttava via dopo averla usata una volta sola, la si usava fino a quando assorbiva. Anche questo, è un cimelio, ha 50 anni. Cioè in pratica dopo aver scritto il rigo si passava quella carta lì per non macchiare l’altro foglio. Una volta passata quella carta lì, era asciutta la scrittura. |
Scrittura minuta per non sprecare carta!
Noi usavamo la scrittura abbastanza minuta, cioè ci stringevamo il più possibile perchè anche se eravamo piccoli e giovani eravamo consapevoli della difficoltà di acquistare un quaderno e di trovare il quaderno, perché non era facile a trovarsi, era tempo di guerra, non c’era nulla. Quindi eravamo consapevoli che il quaderno doveva bastarci tutto l’anno e si scriveva piccolo e non si sprecava nulla. Adesso i quaderni sono grossi, come l’America tutto è grosso.”
“No, i quaderni ce l’avevamo. Io ho fatto pochissime scuole, il signore già ne ha fatte molte più di me. Avevo un libro, e due quaderni. Uno a quadretti per i numeri e uno a righe per scrivere.”
Io invece ero più fortunata di loro, per il semplice fatto che a Torino ci procurava il materiale la direzione. La scuola nel tempo del fascismo dava tanti libri, tanti quaderni per classe. Avevamo due libri di lettura, si leggeva in classe. Noi facevamo scuola dalle otto del mattino alla mezza, dall’una e mezza alle cinque di sera sempre. Allora lì si studiava mattino e pomeriggio. Si andava solo quell’oretta a casa a pranzo. Quando si tornava a casa è logico, non potevamo più studiare, allora si faceva tutto a scuola. I quaderni a noi li davano per bella, brutta, a righe, a quadretti. |
Frontespizio di un quaderno di una bambina |
Tutti in divisa
Anch’io appunto, essendo qui a Settimo, ho fatto le scuole dove adesso c’è il Comune, che a quel tempo era la scuola elementare di Settimo; eravamo in pochi bambini, però, come diceva la signora, anche noi avevamo i quaderni e i libri forniti dalla scuola e quindi questo era già un po’ un vantaggio. Naturalmente come materie erano normali: l’italiano, la matematica, il disegno, queste cose qua e in più si faceva la ginnastica al sabato, tutti in divisa, come diceva il signore, prima in piazza, piazza dell’Impero si chiamava allora. Si chiamava “saggio fascista”. Alle volte il sabato si faceva anche la sfilata intorno al paese, tutti in divisa e guai a chi sgarrava, eh! Tutti al passo, cadenza e cantando si sfilava.
Pagelle dell’epoca |
Le cartelle non erano belle come le vostre. Non quelle cose di adesso. Erano di cartone, intendiamoci. Potevano essere di cartone, di stoffa e quello che si trovava.” “Vi spiego io adesso che tipo di cartella si aveva; siccome noi eravamo in cinque fratelli allora, sai, comprare cinque cartelle era un po’ difficile e allora mio fratello maggiore, sai cos’ha fatto? Prese due pezzi di legno, uno da una parte e uno dall’altra, prese un pezzo di lamiera e l’avvolse ai due pezzi di legno e quella era la sua cartella.” |
“Io quando andavo a scuola, avevo due quaderni: uno a righe, uno a quadretti e un libro, il signore disse che si era fatto una borsa di metallo e da una parte e l’altra di legno, invece io avevo un pezzo di spago, con cui legavo i quaderni e li portavo in mano così.
I bidelli e i maestri del ‘45 E poi c’erano i bidelli che appunto avevano la cura di questo e tenevano la pulizia in tutta la scuola. Una volta il bidello apriva le porte, teneva pulito, riempiva l’inchiostro, si occupava di tutto quello che poteva, che era inerente alla scuola. Il bidello! Io me lo ricordo che aveva sempre un grembiule lungo, nero, arrivava, con la goccia al naso perché era un po’ anziano, ci apriva la porta, ci faceva entrare e non si gridava con lui eh, quello era il bidello, era la persona che ci vedeva tutto il giorno, si occupava di tutto , è vero, non so da voi altri, ma il nostro bidello era quello.Io ho diversi insegnanti da ricordare perché si era in periodo di guerra, e siccome la maggioranza era maschile, l’ultimo anno abbiamo cambiato ben quattro insegnanti perché tutti sono andati in guerra. L’ultimo che è arrivato me lo ricordo benissimo: era una persona molto anziana, in pensione, richiamata per fare scuola. Me lo ricordo perché era molto tipico: arrivava con un cappellaccio nero, con un naso aquilino, aveva il mantello, si chiamava Rebesco.” |
Manifesto fascista |
“La ginnastica si faceva all’aperto o in classe cinque minuti vicino al
banco, si faceva l’esercizio così; non andavamo in palestra, non si poteva,
c’era la guerra, c’erano i bombardamenti.
Le mense non c’erano a scuola. Andavamo a casa. Non c’era da mangiare. E facendo i due turni c’era un’ora sola di tempo per arrivare, mangiare e scappare. Bisognava farlo per forza! Da questa zona andare in centro dove c’è il Comune, galoppavo per arrivare a tempo. E i bambini che abitavano in cascina arrivavano col carretto.
Guai ai ritardatari...
Non arrivavamo mai in ritardo, mai, guai, non ci lasciavano più entrare. E non tornavi più a scuola per una settimana. Non si entrava altrimenti. Mai, erano rigidissimi, no no. Sì erano rigidi nella disciplina. E a scuola, non c’era come fate oggi, che è la vostra fortuna in effetti, il videoregistratore, noi avevamo la radio a scuola, almeno io in città parlo eh, sì anche noi avevamo la radio, avevamo la radio, ma ci facevano solo sentire i notiziari di guerra, o quando parlava il Duce, sì, che allora era il capo dello Stato, e si doveva solo e sempre fare come diceva lui e basta.
Una bambina di otto anni, venire in ritardo solo di cinque minuti o di due minuti, ti facevano tornare indietro, sì sì, e poi per una settimana non potevi più andare a scuola, con delle sanzioni gravissime, riprendevano i genitori, quello è brutto, bambini! Poi per poter uscire per andare in bagno, bisognava alzare la mano, chiedere il permesso, quando si rientrava si faceva il saluto fascista, il saluto romano, e poi si andava a sedere, ma mai che uno parlasse con il compagno di banco, perché altrimenti erano punizioni, mai buttare un pezzetto di carta in terra, mai. Tutte queste cose erano di regola, regola fascista, una regola rigida che ci è servita nella vita. Ci è servito avere una base così, eh!”
Scuole nel mirino durante le ore di lezione
Quando suonava l’allarme, uscivamo
dalla scuola e di corsa a casa, ma con la lingua fuori, proprio perché passavano
gli aerei che mitragliavano. Al cessato allarme, si ritornava a scuola per
fare quell’ora di lezione, magari, eh, poi suonava di nuovo l’allarme, esci
di nuovo, tutto un affare del genere.
Quando succedeva di notte non si dormiva e il
mattino successivo si andava a scuola con degli occhi così perché stavamo
svegli tutta la notte, infreddoliti, con le coperte di lana sulla spalla,
perché in cantina faceva freddo, era una cosa tremenda.
Mai più, mai più dovete dire proprio voi che siete bambini,
mai più!
La mia direttrice della scuola era fascista, come la gran parte degli insegnanti allora, lo eravamo un po’ tutti allora, però che cosa è successo, si era obbligati anche, beh sì, si era obbligati anche a essere fascisti, difatti nella mia pagella c’è scritto, “Era fascista” e c’è anche il numero della mia tessera fascista, figuratevi che io da piccolina non sapevo neanche cosa fosse. La nostra direttrice, era anche un’ausiliaria, erano le ragazze che partecipavano attivamente al partito fascista e appena finita la guerra, finita insomma era ancora tutta lì traballante, l’hanno dipinta di minio, di rosso in testa e l’hanno messa in esposizione del pubblico: “Guardate questa qui era una fascista!” Era una vendetta. Che poi lei era come tutte le altre, ma per vendicarsi l’hanno presa e messa davanti a tutti, davanti a noi bambini della scuola per farla svergognare.”
“C’erano le sirene delle fabbriche che suonavano l’allarme, avevano una ciminiera lunga, alta, che era predisposta per l’allarme, e lo sentiva tutta la scuola. C’erano gli altoparlanti che facevano un suono diverso, non li ricordo neanche più. C’era il preallarme, l’allarme e il cessato allarme, era un continuo pericolo! Un suono era diverso dall’altro: quello lungo era il cessato allarme, quello pericoloso era a tratti e poi c’era il limitato, un po’ più lungo.
Scappavamo senza preavviso: quando era ora, via si scappava. L’allarme suonava anche parecchie volte durante il giorno e la notte.
C’erano tante
sirene, non
ce n’era una sola! C’era
la Paramatti che aveva la sua sirena, la Montecatini, ecc., cioè ogni industria
aveva la sua sirena. Tutti dovevano sentire e potevano sentire.”
“Per esempio, a Torino c’era la Croce Rossa, tutti gli
edifici pubblici, anche le scuole medesime avevano la loro sirena, il campanello
d’allarme. Non potevano restare senza, uno c’era sempre!
E non c’era il riscaldamento come avete voi.
L'informazione di regime
Si parlava molto spesso di patria, ci facevano
leggere il bollettino di guerra tutte le mattine. I bambini erano informati
di tutte le azioni militari, ma non erano sempre informazioni obiettive,
erano quelle di regime.
Le parole di Mussolini erano
tre: credere, obbedire, combattere. Basta!
Erano tre parole che
Mussolini ci obbligava a memorizzare. Già
da bambini, venivi su così, non potevi fare a meno di avere quella mentalità.
Cantavamo
molto. Ci facevano cantare canzoni, prima di tutto quelle del regime, nazionali:
“Giovinezza”, l’inno
di Mameli no, e le canzoni della montagna.
In classe c’era l’ora di musica,
in cui ci facevano cantare le canzoni nazionali ed anche altre.
Si ascoltava la musica dei balli lenti, della roba romantica,
non c’erano le canzoni di oggi.
Quando c’era qualche canzone, la si sentiva cantare e fischiettare sovente
per le strade, ora non si fa più, non si sente più cantare e fischiettare
per la strada.
Io ricordo il pianoforte, l’insegnante di
musica suonava il pianoforte e basta.
Cantavamo le canzoni che ci
insegnavano allora: Giovinezza, le canzoni degli avanguardisti, la canzone
dei marinai, sì, la
canzone dei marinai, la
canzone degli aviatori, sì.
C’era la radio. Ogni aula aveva la sua radio, in una mensolina un po’ sopraelevata. Quella serviva esclusivamente per farci sentire i discorsi del Duce. Quando parlava il Duce si accendeva la radio, se no per tutto il resto del tempo la radio rimaneva spenta. Mai sentita una canzone, mai! Cantavamo senza strumenti; la maestra intonava la canzone e noi la seguivamo.”
“Come si entrava in classe prima cosa il segno della croce, ci faceva dire le preghiere e poi tutti sull’attenti a cantare Giovinezza; prima le preghiere, io parlo di Torino.
Io penso che le classi miste siano venute molto dopo la guerra. In campagna erano miste, ma nelle città no. Anche perché i bambini erano pochi nei paesini, quindi dovevano radunarli. Appunto, anche durante le medie io ero in una classe solo di maschi...
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